Mariolino Migliaccio ha poco più di trent’anni e neanche un soldo. Fa l’investigatore privato, non ha la licenza né un ufficio e riceve i clienti in un bar dei carruggi, abita in una pensione d’infimo ordine e nessuno è più disposto a fargli credito. Grande amante del cinema americano, uomo dal linguaggio colorito e gli abiti sempre sporchi e sdruciti, passa le sue giornate rincorso dai debiti, nella speranza di un incarico che gli assicuri un pasto caldo. Eppure, Migliaccio, detto fottignin scotizzoso (in genovese, ficcanaso sporcaccione), ha un incredibile fiuto e sa rovistare nei posti giusti per svelare i segreti d’una città dove allignano corruzione e ipocrisia, anche grazie ad altri poveracci come lui che vivono la strada tutti i giorni. La madre Wanda, prostituta fiera della propria condizione di proletaria, è morta anni prima uccisa da un cliente di cui nessuno conosce l’identità. Forse anche per questo il Vecchio Luigi, boss che gestisce una casa di tolleranza travestita da centro benessere, lo ha assoldato per cercare una giovane “schiava” albanese di nome Liveta, sparita chissà dove. Ma quando Mario si renderà conto che non è stato ingaggiato per cercarla, ma per risolvere una grana ben più grossa dell’organizzazione criminale, sarà ormai troppo tardi per tirarsi indietro: vorrebbe dire rischiare la vita ma anche perdere parecchi soldi. Entrambe cose che Mariolino non può permettersi.
Bruno Morchio in “La fine è ignota” attraversa ancora la città di Genova, questa volta seguendo i passi di un nuovo personaggio, un detective atipico, perseguitato dalla sfortuna, politicamente scorretto e costretto a continui compromessi al ribasso con la propria coscienza. Un individuo segnato da luci e ombre, come i carruggi in cui si muove, che grazie a una formidabile capacità di destreggiarsi in ogni situazione saprà salvare più di una esistenza dal baratro della violenza, dello sfruttamento e della miseria.